Una lettura ambivalente de ‘’Alla nuova luna’’ di Salvatore Quasimodo: un inno alla tecnologia o una profezia apocalittica? | ||
| Transcultural Journal of Humanities and Social Sciences | ||
| Volume 6, Issue 5, October 2025, Pages 128-138 PDF (1.13 M) | ||
| Document Type: Original Article | ||
| DOI: 10.21608/tjhss.2025.419480.1343 | ||
| Author | ||
| Christine Girgis* | ||
| Badr University in Cairo | ||
| Abstract | ||
| Il presente studio mostra la rappresentazione della tecnologia nella letteratura, attraverso un’analisi critico-analitica de ‘’Alla nuova luna’’ (1958) di Salvatore Quasimodo. Lo scopo di tale articolo è di mostrare una lettura ambivalente dell’opera lirica secondo due ottiche complettamente contrastanti: se da un lato la poesia sembra essere un elogio alla scienza, dall’altro essa sembra essere detentrice di un messaggio allarmante riguardante le capacità di progresso dell’uomo, ben lontana dai propositi ottimistici intrapresi dalla rivoluzione scientifica seicentesca . Nell’opera quasimodiana l’uomo non si limita ad essere l’artefice del proprio destino, modellandolo cioè su una materia già prestabilita, secondo l’ottica rinascimentale, ma arriva a divenire co-creatore del proprio destino, creando quest’ultimo dal nulla. L’uomo diviene, infatti, capace di creare luminari celesti (satelliti), esattamente come fece Dio il terzo giorno della Creazione )stelle). Dunque, è in questo scenario che si inserisce l’immgine di un’onnipotenza umana e non più divina, la quale apre il dibattito su diversi questioni quali la responsabilità degli scienziati e della tecnologia di fronte all’umanità e le conseguenze che ne possono derivare. | ||
| Keywords | ||
| Scienza; elogio; creazione; satellite; Quasimodo | ||
| Full Text | ||
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Il presente studio mostra la rappresentazione della tecnologia nella letteratura contemporanea agli albori della sua fioritura, attraverso un’analisi critico-analitica de ‘’Alla nuova luna’’ (1958) di Salvatore Quasimodo. Alla nuova luna fa parte della raccolta quasimodiana dal titolo La terra impareggiabile ed è una poesia ispirata al lancio in orbita del primo satellite artificiale: lo Sputnik I (1957). Essa testimonia l’interesse dell’autore verso la realtà a lui contemporanea, in particolare è intravedibile l’attenzione rivolta al progresso scientifico e alla responsabilità dello scienziato che Quasimodo pone come nucleo centrale dell’opera. Lo scopo di tale articolo è di mostrare una lettura ambivalente dell’opera lirica secondo due ottiche completamente contrastanti: se da un lato la poesia sembra essere un elogio alla scienza, dall’altro essa sembra essere detentrice di un messaggio allarmante riguardante le capacità di progresso dell’uomo, ben lontana dai propositi intrapresi dalla rivoluzione scientifica seicentesca. Il XVII secolo, infatti, viene contrassegnato da un lato come il secolo del Barocco, e dall’altro come il secolo della cosiddetta rivoluzione scientifica; in esso cioé le manifestazioni del barocco non coprono che una metà dell'orizzonte letterario secentesco, mentre l'altra metà è occupata da un soggetto inedito per l’epoca: la prosa scientifica, il cui pioniere in Italia rimane Galileo Galieli[1]. Così, la scienza smette di essere un campo per soli specialisti e produce testi che oltre ad essere tappe fondamentali nella storia della civiltà, si presentano come opere letterarie a tutti gli effetti, e il caso della poesia quasimodiana rispecchia appieno questo fenomeno di traslazione, caratterizzato dal trasferimento di connotazioni puramente scientifiche e per specialisti a patrimonio letterale del sapere scientifico. Di seguito il testo della poesia:
In principio Dio creò il cielo e la terra, poi nel suo giorno esatto mise i luminari in cielo e al settimo giorno si riposò Dopo miliardi di anni l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, senza mai riposare, con la sua intelligenza laica, senza timore, nel cielo sereno d’una notte d’ottobre, mise altri luminari uguali a quelli che giravano dalla creazione del mondo. Amen[2].
Con Alla nuova luna, Quasimodo vuole focalizzarsi su un evento importante per l’epoca, ma soprattutto sembra voler porre l’attenzione del pubblico su tematiche tecnologiche che non intendono più raggiungere soltanto gli ‘addetti ai lavori’, ma un pubblico socialmente allargato che va dai letterati fino ai semplici lettori dilettanti curiosi. Egli, cioè, tenta di creare quel connubio tanto ricercato nella letteratura passata tra scienza e letteratura, pur dando al testo della sua poesia una cadenza liturgica. pur mantenendo nel testo della sua poesia un tono lirico-liturgico, abbastanza distaccato da termini puramente scientifici e linguaggi tecnicizzati, con lo scopo di mantenere l’intento divulgativo dell’opera: far riflettere il lettore sulle capacità dell’uomo di creare ‘luminari’ nel cielo (satelliti), esattamente come fece Dio il terzo giorno della Creazione (stelle). Il lancio del satellite apre, così, la via alla tecnologia e alla scienza verso interrogativi che fino ad allora sono rimasti irrisolti attorno all’universo e sembra essere il precursore di una nuova era )Dopo miliardi di anni l’uomo/[...] mise altri luminari uguali/a quelli che giravano/ dalla creazione del mondo[3]). Allo stesso modo, si può intravedere la medesima grandezza nella scoperta del cannocchiale da parte di Galileo, grazie alla quale, secondo il naturalista Marcello Malpighi, si è stati in grado di rispondere a quesiti irrisolti e a porne dei nuovi, abbattendo un sistema di conoscenze plurisecolare e dando all’uomo moderno nuovi strumenti con cui investigare la gran macchina del mondo[4]:
‘’Con due guardate fatte con l’occhiale [il cannocchiale] dell’immortal Galileo, [il secolo XVII] ha più scoperto che non hanno speculato tutte le passate migliaia d’anni; e con i miscroscopii applicati alla vista delle parti minime del coropo animato, ha veduto ne gl’animali minimi mirabili.’’[5]
Dunque, se da un lato il cannocchiale inaugura il secolo della rivoluzione scientifica, dall’altro, il lancio del satellite diviene per Quasimodo il fulcro di un momento cruciale per lo sviluppo della tecnologia del XX secolo. Tale questione viene affrontata dal poeta attraverso un parallelismo costante nella poesia tra l’operato umano e l’operato divino: ad una prima lettura risulta la presenza costante e redondante del paragone tra Dio e l’uomo, nel quale sembrerebbe addirittura che le caratteristiche di quest’ultimo abbiano di gran lunga sorpassato quelle divine. Secondo le Sacre Scritture, infatti, Dio, dopo aver completato la Creazione, si riposò il settimo giorno )Gen 2,2-3(.[6] Tuttavia, il riposo di Dio non rappresenta un Dio inoperoso, ma mira a sottolineare la pienezza e il compimento della creazione. L’attività di Dio nei sei giorni della creazione trova il suo compimento proprio perché Dio smette di lavorare e volge uno sguardo compiaciuto sull’opera creata. Il sabato (il settimo giorno), pertanto, non è finalizzato a nuove creazioni o operati, bensì a dilatare la gioia di Dio su tutte le cose. A questo riguardo si osservino le seguenti affermazioni teologiche:
‘’Il settimo giorno, [...], è il compimento della creazione. Dio riposa nel settimo giorno perché tutto è giunto allo stadio definitivo. Il riposo di Dio, tuttavia, non è ozio, ma un’attività che consiste nella benedizione e santificazione dello šabbāt. La benedizione di Dio scende copiosa sul settimo giorno e lo rende gravido di una fecondità che si estende ai giorni precedenti, dai quali se ne separa a motivo del suo carattere esclusivo, quello di essere il tempo dell’incontro con Dio. Il settimo giorno, in tal senso, ha un valore escatologico perché fonda nel compimento futuro del rapporto di comunione con Dio il fine della creazione e della storia.’’[7]
Dunque, il motivo del riposo di Dio durante la giornata del Sabato risiede nel fatto che, Egli abbia voluto consacrare e benedire tale giorno, tuttavia la lettura che emerge dalla poesia quasimodiana sembra affermare il contrario. Nei versi quasimodiani, infatti, vediamo apparire un netto contrasto tra la prima parte della poesia (Dio crea eppure necessita di riposare) e la seconda parte della lirica in cui l’uomo compie lo stesso operato di Dio (mise luminari nel Cielo), ma con un elemento del tutto diverso: l’uomo non riposa, a differenza del Creatore. Alla nuova luna sembra così voler rappresentare un inno alla tecnologia e all’uomo che grazie alla propria intelligenza laica e senza timore imita lo stesso operato divino, senza dover avvertire il bisogno di ‘riposare’:
‘’Dopo miliardi di anni l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, senza mai riposare, con la sua intelligenza laica, senza timore, nel cielo sereno d’una notte d’ottobre, mise altri luminari uguali a quelli che giravano dalla creazione del mondo. Amen.’’[8] Questa apparente esaltazione delle potenzialità umane diviene ancora più rimbombante a causa del linguaggio liturgico a cui ricorre lo scrittore nella poesia fin dalle prime righe e che raggiunge il suo culmine nella parola finale: ‘Amen’. Secondo il Dizionario di Teologia biblica il termine Amen significa innanzitutto: certamente, veramente, sicuramente, o semplicemente sì. Questo avverbio deriva da una radice ebraica, che implica fermezza, solidità, sicurezza (cfr. fede). Dire Amen, significa proclamare che si ritiene vero ciò che è stato detto, al fine di ratificare una proposta o di unirsi ad una preghiera[9]. Così, secondo quest’ottica di lettura, è possibile percepire la forza attribuita a questo termine quale atto di sigillo della poesia, di affermazione e di certezza in quanto scritto e sigillato con la formura di chiusura di solidità per eccellenza: Amen. Tuttavia, il testo della poesia quasimodiana può essere interpretato secondo un’altra chiave di lettura, ben lontana dal nobilitare l’uomo e dall’esaltare le nuove scoperte tecnologiche del secolo. Innanzitutto, occorre precisare che la poetica di Quasimodo può venire suddivisa in tre momenti particolarmente significativi: il periodo ermetico che va dal 1920 al ’29 circa, la cui poesia ‘manifesto’ Ed è subito sera apre la raccolta di Tutte le poesie, è caratterizzato da una lirica ‘’secca e angosciosa’’ e di ‘’alta tensione espressiva’’. Nell’immediato dopoguerra, nel culmine del periodo della Resistenza e della Liberazione prevale, invece, il sentimento di disperazione ed angoscia che passano dall’esprimere un malessere individuale come quello ermetico, ad un’angoscia collettiva e corale che rappresenta il dramma storico di quegli anni, ne è manifesto la poesia dal titolo Alle fronde dei salici. Infine, la terza ed ultima fase si rifà ad una realtà più recente, quella del lancio del primo Sputnik in orbita[10] e di cui fa parte Alla nuova luna. Con questa tipologia di lirica sembra quasi che il poeta abbia voluta distaccarsi gradualmente da una letteratura ripiegata su se stessa per giungere ad una letteratura che seppur ponendo al proprio centro applicazioni scientifiche, prosegue nell’analizzare l’uomo. Dunque, nonostante le diverse fasi che attraversano la poetica quasimodiana, è possibile individuare un topòs letterario che si ripete sempre nella maggior parte della lirica del poeta: la sfiducia totale nell’uomo e la piena consapevolezza della responsabilità dell’individuo di fronte alla catastrofe della realtà, sia che essa si presenti sotto forma di eventi bellici (vedi le poesie appartenenti al periodo della Guerra e della Liberazione), sia che essa si mostri in forma di nuove scoperte tecnologiche fatte dall’uomo. Per comprendere a fondo il pensiero quasimodiano rispetto all’uomo si osservino i seguenti versi, estratti da Uomo del mio tempo: ‘’[..] T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta.’’[11] Salvatore Quasimodo vede l’uomo come apportatore di morte e quindi è difficilmente probabile che nella poesia analizzata, Alla nuova luna, egli voglia elogiare l’uomo e le scoperte scientifiche da lui effettuate. Partendo da questo presupposto, si può allora interpretare la poesia secondo un’ottica quasi profetica-apocalittica. Quei versi che paragonano l’operato divino a quello dell’uomo possono allora essere letti secondo un’interpretazione pessimistica, in linea con il pensiero quasimodiana sull’uomo: l’uomo che, a differenza di Dio, non si riposa risulta essere un essere dominato e unicamente guidato dall’avarizia e della propria sete verso il progresso. Così il tema del progresso riaffiora nella poesia, quasi con le medesime caratteristiche di cui Verga parla nella Prefazione de I Malavoglia: “Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso […] Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l’accompagna dileguansi le irrequietudini, le avidità, l’egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l’immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l’attività dell’individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti.”[12] Verga ha una visione pessimistica del progresso, in quanto egli lo paragona ad una fiumana inarrestabile, esso può sembrare all’apparenza un atto grandioso eppure cela in sé avidità ed egoismo, quali armi per proseguire un bene che assume il connotato di ‘comune’, pur non essendolo. Quasimodo, allo stesso modo, parla del lancio dello Sputnik quale opera grandiosa e comparabile a quella divina, eppure dipinge l’uomo con attributi che pongono molti quesiti sul futuro dell’umanità, il primo dei quali, sigillato con la parola Amen, attorno alla responsabilità dello scienziato e della scienza, portando il lettore ad una riflessione sul futuro dell’umanità. Il satellite rappresenta così per Quasimodo il simbolo di una rivoluzione dell’umanità in procinto di evolversi, in cui qualunque forma di trascendenza o qualunque implicazione metafisica di tipo morale o spirituale scompare, in quanto l’uomo senza alcun intervento esterno e senza alcun fine trascendente è in grado di emulare l’atto divino. Se il satellite diviene per la scienza uno strumento di conoscenza della realtà che permette di vedere ciò che per troppa lontananza, troppa piccolezza era altrimenti invisibile, come lo furono d’altronde le scoperte scientifiche seicentesche[13], per Quasimodo lo Sputnik rappresenta uno strumento di conoscenza e di indagine, ma non della realtà, bensì dell’uomo. Ne consegue una visione dell’uomo che non ha bisogno di alcuna guida esterna, poiché è dotata degli strumenti adatti e sufficienti a conseguire i propri scopi. Questi strumenti sono gli occhi nella fronte, cioè i sensi con cui indagare i fenomeni, e gli occhi nella mente, cioè l'intelletto, capace di ragionare e trarre conclusioni a partire dai dati raccolti, esattamente come stabilito dal metodo scientifico galileiano. Francis Bacon, in un testo utopico intitolato Nuova Atlantide, pubblicato postumo nel 1627, profetizzò l'avvento di una società in cui il benessere civile e materiale si sarebbe fondato sulle conquiste della scienza e della tecnologia: gli abitanti della Nuova Atlantide erano cristiani ed avevano costruito nell’isola una società perfetta. [...] La conoscenza scientifica aveva raggiunto uno stadio molto avanzato. Nel loro grande collegio, la Casa di Salomone, un ordine di sacerdoti-scienziati svolgeva ricerche in tutte le arti e le scienze, i cui risultati sapevano come impiegare a vantaggio degli uomini[14]. Tre secoli dopo, Quasimodo sembra stravolgere la fiducia che la scienza moderna aveva riposto nell’uomo, chiedendo al lettore di riflettere sulle capacità di invenzione dell’uomo e sulle loro conseguenze; risulta, quindi, chiaro, qui, l’impatto delle invenzioni tecnologiche del XX secolo e delle catastrofi che hanno apportato all’umanità. Tuttavia, occorre precisare che il dubbio che pone il poeta nella sua poesia è ben diverso da quello posto dalla scienza di Bacon o di Galileo, questi ultimi infatti hanno messo in discussione la realtà e non l’uomo, facendo emergere così un sentimento di incertezza verso il sapere e mai verso le conseguenze degli atti dello scienziato. A proposito di questo è importante citare il poeta inglese John Donne, il quale compose nel 1611 il suo più celebre poemetto, An Anatomie of the World (Un’anatomia del mondo), qui il poeta dava voce allo sgomento di un'epoca che vedeva sgretolarsi in un attimo il sapere plurisecolare su cui era fondata e le certezze che credeva fossero universali: [...] Il Sole è perso, e la terra, e nessun ingegno umano può indicare all'uomo dove cercarlo. E apertamente di uomini confessano che questo mondo è estinto, quando nei pianeti, nel firmamento, ne cercano tanti nuovi; vedono che questo si è sgretolato, tornando ai suoi atomi. è tutto in pezzi, scomparsa ogni coesione [...][15].
A differenza di questi, Quasimodo propone uno sgomento rivolto all’uomo e alle reali motivazioni che guidano la sua sete di progresso materiale, per il poeta, infatti, l’uomo per vivere necessita di fabbricare gli strumenti di morte, così occupano più operai, ingegneri, scienziati, così le industrie prosperano.Si tratta di un macabro esercizio di follia che viene innescato come un ingranaggio a catena, una macchina per uccidere e per uccidersi[16]. Dunque, nella poesia quasimodiana siamo ben lontani dall’ottimismo dei secoli precedenti, il poeta ci presenta la figura di uno scienziato che non pone in primo piano la curiosità e l’ingegno sveglio dell’uomo, bensì lo eleva al livello divino. Questo paragone, il quale d’altronde è la base su cui si poggia la poesia, ha portato lo scrittore a scontrarsi con diverse critiche, derivanti soprattutto dalla Chiesa. Molti critici infatti, da una lettura superficiale della poesia hanno concluso che l’intento del poeta fosse quello di paragonare l’uomo a Dio e di renderlo uguale a Lui, se non superiore. Il poeta risponde a tali critiche definendo tali figure come ‘pidocchi di Cristo!’[17]: Quasimodo scrisse due invettive, definendo i suoi ottusi censori con il termine sopracitato, perché sconvolto dall’attacco al suo credo religioso; il termine che chiude la lirica (Amen) assume un valore di preoccupazione verso il destino dell’uomo e dell’intera umanità, in quanto l’uomo avrebbe tramutato anche tale conquista (il lancio dello Sputnik) in una ragione di conflitto. Emerge, così, che egli non crede nell'onnipotenza laica[18] e ne deriva un acceso dibattito sulla plurisecolare questione del rapporto tra scienza e fede. Sebbene Dio abbia concesso all'uomo la Bibbia )il cui stile e linguaggio viene imitato in Alla nuova luna) e la fede per le sue esigenze spirituali, gli ha anche concesso i sensi e le facoltà razionali perché potesse soddisfare la propria curiosità di conoscere il mondo fenomenico. Tuttavia, la sete del sapere che viene raffigurata da Quasimodo porta il lettore ad immaginare lo scienziato come un individuo onnipotente, ben lontano dall’umiltà dell’uomo di scienza il quale ha come qualità essenziale la consapevolezza dei limiti della conoscenza. Dunque La poesia Alla nuova luna, all’apparenza, sembra elogiare il progresso tecnologico e l’ingegno umano, quasi affermando che l’uomo, con le sue conquiste, possa eguagliare persino il Creatore; tuttavia, scavando più a fondo, il testo si rivela una profezia apocalittica, carica di pessimismo e inquietudine. Il poeta, infatti, non esalta realmente l’ingegno umano, ma dipinge l’uomo come portatore di morte e distruzione, incapace di utilizzare il proprio sapere per il bene. La poesia così sembra assumere le caratteristiche di un invito al lettore ad una profonda riflessione sull’identità umana, sul senso del progresso e sulle conseguenze della sua cieca ricerca.
[1] Antonio Banfi, L’uomo copernicano, Mondadori, Milano, 1950, p. 29. [2] Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1970, p. 243. [3] Ivi, vv.5-13. [4] Espressione utilizzata dal critico Antonio Clericuzio in La macchina del mondo. Teorie e pratiche scientifiche dal Riascimento a Newton, Carrocci Editore, Roma, 2005. Con questa espressione ci Si rifà ad una concezione dell'universo basata su un sistema ordinato ed organizzato, comprensibile unicamente attraverso la ragione e l’osservazione. [5] Arianna Penasa, Le origini dell’insegnamento della fisica sperimentale a Bologna ricostruite attraverso un’analisi degli autografi di Jacopo Bartolomeo Beccari, Tesi di Laurea Magistrale, Università di Bologna, 2022-2023, p. 13. https://amslaurea.unibo.it/id/eprint/30527/1/Tesi%20Penasa%20Arianna.pdf [6] Il testo utilizzato dalla Conferenza episcopale italiana e riconosciuto come ufficiale riporta i versi del Libro della Genesi in questo modo: ‘’Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni alvoro che egli aveva fatto creando.’’ La Bibbia, CEI 2008. [7] Don Marco Annesi, In principio Dio creò il tempo del riposo, Conferenza Episcopale italiana, 11-10-2018. https://turismo.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/24/2018/10/11/Don-Annesi_In-principio-Dio.pdf [8] Salvatore Quasimodo, Alla nuova luna, Op. Cit., vv. 5-13. [9] https://www.scrutatio.it/DizionarioTeologico/articolo/669/amen [10] Paolo Ricci, L’estremo omaggio di Milano al poeta Salvatore Quasimodo, l’Unità, 18 giugno 1968, p. 8. [11] Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo in Tutte le poesie, Op. Cit., v.v. 5-9, p. 166. [12] Giovanni Verga, Prefazione de I Malavoglia, https://www.nilalienum.it/Letteratura/Letteraturaitaliana/800/Verga/VER_MAL.pdf [13] Eugenio Garin, Rinascimento e rivoluzione scientifica, in Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Laterza, Roma-Bari, 1975, p. 308. [14] Galliano Crinella, Scienza e lavoro per la comunità. Le utopie agli inizi dell’età moderna, Cosmopolis. Rivista di filosofia e teoria politica. https://www.cosmopolisonline.it/articolo.php?numero=II22007&id=19 [15] John Donne, An Anatomy of the World, trad. A. Serpieri, in Il canone letterario, Principato Editore, Milano, 2009, p. 338. [16] Cfr, Curzia Ferrari, La ricerca dell’assoluto nella letteratura: Quasimodo, in Cooperativa cattolico-democratica di cultura, 11.03.2002, p.4. file:///F:/Abstract%20Quasimodo-%20Conferenza/D-%20quasimodo-%20p%204.pdf [17] Ibidem [18] Anna Paola Lucia, l'universo poetico di Ungaretti, Montale, Quasimodo e i suoi rapporti con i concetti di guerra e di pace. Impatto della poetica italiana contemporanea con i valori tipici della morale cristiana, Gianotten Mutsaers, Tilburg, Netherlands, 1979, p. 203. | ||
| References | ||
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Bibliografia
- Annesi M., In principio Dio creò il tempo del riposo, Conferenza Episcopale italiana, 11-10-2018.
https://turismo.chiesacattolica.it/wpcontent/uploads/sites/24/2018/10/11/DonAnnesi_In-principio-Dio.pdf
- Banfi A., L’uomo copernicano, Mondadori, Milano, 1950.
- Clericuzio A., La macchina del mondo. Teorie e pratiche scientifiche dal Riascimento a Newton, Carrocci Editore, Roma, 2005.
- Crinella G., Scienza e lavoro per la comunità. Le utopie agli inizi dell’età moderna, Cosmopolis. Rivista di filosofia e teoria politica.
https://www.cosmopolisonline.it/articolo.php?numero=II22007&id=19
-Ferrari C., La ricerca dell’assoluto nella letteratura: Quasimodo, in Cooperativa cattolico-democratica di cultura, 11.03.2002, p.4.
file:///F:/Abstract%20Quasimodo-%20Conferenza/D-%20quasimodo-%20p%204.pdf
- Garin E., Rinascimento e rivoluzione scientifica, in Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Laterza, Roma-Bari, 1975.
- John Donne J., An Anatomie of the World, trad. A. Serpieri, in Il canone letterario, Principato Editore, Milano, 2009.
- Penasa A., Le origini dell’insegnamento della fisica sperimentale a Bologna ricostruite attraverso un’analisi degli autografi di Jacopo Bartolomeo Beccari, Tesi di Laurea Magistrale, Università di Bologna, 2022-2023.
- Quasimodo S., Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1970.
- Ricci P., L’estremo omaggio di Milano al poeta Salvatore Quasimodo, l’Unità, 18 giugno 1968.
- Verga G., Prefazione de I Malavoglia, https://www.nilalienum.it/Letteratura/Letteraturaitaliana/800/Verga/VER_MAL.pdf
Sitografia
https://www.scrutatio.it/DizionarioTeologico/articolo/669/amen
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